Una delle prime, anzi forse la prima, vera litigata con il mio ex fidanzato [attuale marito] è stata scatenata da un argomento sicuramente non banale: i numeri immaginari. Ricordo molto bene che ci siamo presi a male parole perché lui insisteva con il dire che i numeri immaginari non esistono, “non sono veri numeri”, e io, per contro, cercavo di spiegargli che esistono tanto quanto gli altri, hanno pari dignità ma, semplicemente, caratteristiche un po’ diverse.
Per chi tra voi non lo ricordasse, un numero immaginario salta fuori quando si parla di radici di numeri negativi: come ci hanno insegnato a scuola, √9 è uguale a +3 o a -3, ma nel caso di √-9 la risposta alla domanda contempla l’introduzione dell’elemento i, definito come √-1.
In effetti, chiamarli “immaginari” non aiuta a prenderli sul serio come sarebbe giusto fare, dal momento che se non esistessero non esisterebbe neanche il mondo così come lo conosciamo, dato il ruolo fondamentale che hanno avuto per comprendere, tra molti altri, i fenomeni elettrici alla base dell’illuminazione delle nostre case, del funzionamento dei nostri smartphone e via di seguito. Che cosa c’è di più concreto di un telefono – da cui magari proprio adesso state leggendo queste parole?
Dopo molti anni da quella epica discussione, ho finalmente trovato un bellissimo articolo di Michael Brooks, appena uscito sul magazine Nautilus, che spiega il concetto in modo cristallino e credo riuscirà a convincere tutti voi che dubitate, mio marito compreso: se volete, «tutti i numeri sono immaginari. Non sono altro che una notazione che ci aiuta con il concetto di quantità […] Così come i numeri positivi sono in un certo senso complementari ai numeri negativi, i numeri reali (5, pi greco, la radice quadrata di 2…) hanno come complementari quelli che ci troviamo a chiamare numeri immaginari. Pensateli come se fossero lo yin e lo yang, o testa e croce. Ma di sicuro non come numeri veramente immaginari» – o almeno non più di quanto non lo siano tutti i numeri