Anche quest’anno, a partire all’incirca da metà ottobre, la rete è stata invasa da immagini di quello che, ho da poco appreso, oggi tutti chiamano foliage: il cambiamento di colore delle foglie degli alberi. Dal verde della collezione P/E si passa a una gamma di colori che vanno dal giallo al rosso, passando per varie tonalità di arancione e toccando talvolta una punta violacea.
A parte che foliage l’ho sempre sentito pronunciare alla francese, mentre si tratta di un termine della lingua inglese (il francese ha feuillage, che si pronuncia così), la parola foliage originariamente indicava semplicemente la chioma di un albero indipendentemente dal suo colore; soltanto negli ultimi anni, credo per traslazione – ma non sono mai stata brava con figure retoriche & Co. -, è passato a descrivere questo fenomeno tipicamente autunnale, almeno per noi che viviamo nell’emisfero boreale.
Come abbiamo imparato a scuola, chi più chi meno e chi più memore e chi più immemore, il colore delle foglie è (più o meno) verde a causa della clorofilla, pigmento contenuto in minuscole strutture (organuli) presenti nelle cellule vegetali, i cloroplasti. All’interno dei cloroplasti si svolge la fotosintesi clorofilliana, che consente alle piante di crescere e riprodursi grazie alla trasformazione della luce solare in energia. Il tutto è raccontato con dovizia di particolari nella pagina che Wikipedia dedica al fenomeno, ma la clorofilla, da sola, non spiega perché il colore delle foglie sia proprio verde, anziché verde-blu. E tra l’altro, perché proprio verde-blu?
Sempre sui banchi di scuola, anche se come abbiamo visto in un articolo precedente secondo alcuni illustri scienziati e pensatori i colori, in realtà, non esistono, ci è stato detto che, dal punto di vista fisico, i colori sono porzioni distinte dello spettro elettromagnetico; in altri termini, si tratta di raggi luminosi di diversa frequenza o diversa lunghezza d’onda (il che è lo stesso, perché le due sono inversamente proporzionali). La luce visibile all’occhio umano è costituita di onde la cui lunghezza varia all’incirca tra i 390 e i 730 nanometri: le più lunghe stanno dal lato rosso/giallo e le più corte da quello blu/viola, mentre le verdi stanno nel mezzo (tra i 500 e i 570 nanometri). Tenuto conto che un nanometro equivale a un miliardesimo di metro, nel diametro di questa “o” trovano posto circa 2500 onde di luce viola e 1500 di luce rossa. Tanto per dire.
Nel mondo biologico, una parte del leone nella creazione dei colori è quella giocata dai pigmenti. I pigmenti sono sostanze naturali che creano colore tramite l’assorbimento, la diffusione o la riflessione selettiva di alcune particolari lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico. A differenza dei colori strutturali (legati alla struttura superficiale di un oggetto), il colore di un pigmento non varia con l’angolo di incidenza della luce o con la posizione di un osservatore – fenomeno che possiamo invece osservare, per esempio, ammirando una nuvola di bolle di sapone da diverse angolazioni.
Uno dei pigmenti più famosi è proprio la clorofilla, che tende ad assorbire le porzioni rosse e gialle dello spettro elettromagnetico. Quando, d’autunno, le chiome di molti alberi perdono la tipica colorazione verde, la causa è da ricercarsi nella scarsa stabilità della clorofilla. La facilità di decomposizione di questo pigmento risulta estremamente utile durante il processo della fotosintesi, che potrebbe non avvenire in presenza di un composto più stabile; per mantenere costante il livello di clorofilla nelle foglie, le piante devonono produrne costantemente di nuova, ma per far questo sono necessari calore e luce che, con l’avvicinarsi della stagione invernale (almeno alle nostre latitudini), diventano sempre meno disponibili.
Ma perché d’autunno le foglie assumono sfumature che vanno dal giallo al rosso, ma non dall’azzurro al blu? Se osserviamo lo spettro elettromagnetico, infatti, il fatto che la clorofilla assorba le porzioni rosse e gialle lascia comunque “libere”, oltre alle verdi, anche le onde colorate di blu e violetto. La colpa è di un altro pigmento: il carotene.
Il carotene è una grossa molecola che, come la clorofilla, si trova all’interno dei cloroplasti di molte piante; appartiene alla famiglia dei carotenoidi, a cui dà il nome, è presente anche in tante altri elementi (in primis la carota) e come molti di voi sapranno è responsabile del colore del piumaggio dei fenicotteri.
I piccoli di fenicottero, infatti, all’uscita dall’uovo sono piuttosto grigiastri e acquistano la loro splendida tinta rosata a mano a mano che, grazie alla muta, acquisiscono nuove piume; il caratteristico colore rosa arancio, infatti, proviene da una dieta più o meno ricca di crostacei, molluschi e cianobatteri (alghe blu-verdi). Ma mentre nel caso degli esseri umani un’alimentazione troppo ricca di carotenoidi può dar luogo a una patologia nota come carotenemia (gli strati superficiali dell’epidermide assumono una colorazione giallastra), nel caso dei fenicotteri, dal momento che l’intensità del colore delle piume dipende proprio dall’alimentazione dell’uccello, essa diventa direttamente proporzionale alla sua attrattività come partner sessuale. E mentre di solito, per gli esseri umani, una pelle giallastra non è esattamente sintomo di salute (Biancaneve, fino a prova contraria, aveva la pelle “bianca come il latte” e non “aranciata come un mandarino”), un fenicottero dal piumaggio acceso è un fenicottero che si alimenta tanto e bene, ed è quindi un ottimo candidato a diventare genitore.
Tornando al nostro caso, il carotene è importante perché facilita la fotosintesi, nello specifico assorbendo energia luminosa dai raggi solari e trasferendola poi alle molecole di clorofilla. Il carotene è di colore giallo aranciato perché assorbe le porzioni blu e blu-verdi dello spettro; il colore delle foglie contenenti sia clorofilla sia carotene, pertanto, è proprio verde, e non blu, perché, semplicemente, la luce verde è l’unica che non venga assorbita da nessuno dei due pigmenti.
Dal momento che il carotene è molto più stabile della clorofilla, tuttavia, continua a essere presente nelle foglie delle piante anche quando, a causa dell’abbassamento delle temperature e della diminuzione delle ore di luce, la produzione della clorofilla viene progressivamente meno. Ed ecco comparire le calde tonalità caratteristiche dei boschi autunnali – e delle immagini debitamente corredate dall’hashtag #foliage. Buoni colori a tutti!
Immagine di copertina ©Chris Lawton via Unsplash