Caleidoscopicamente

La riflessione della luce sugli specchi è interpretata magistralmente dalla fantasia di alcuni artisti contemporanei ispirati dal caleidoscopio

Tutti noi abbiamo, una volta o l’altra, giocherellato con un caleidoscopio che ci era stato regalato o in cui eravamo casualmente incappati a casa di qualcuno. E tutti noi, sicuramente, ci siamo meravigliati delle infinite forme bellissime che venivano a crearsi, sempre differenti, all’interno del tubo di cartone in risposta ai nostri movimenti rotatori.

Alcuni, fra noi, sono stati talmente colpiti dai giochi di luce e forme in movimento da voler riproporre il meccanismo del caleidoscopio su scale ben maggiori di quelle del tubicino da far girare tra le dita inventato dal fisico inglese David Brewster nella prima metà dell’Ottocento.

I Light Origami dell’artista giapponese Masazaku Shirane sono origami di luce che invitano lo spettatore a esplorare la natura della realtà entrando – probabilmente per la prima volta nella propria vita – in un gigantesco caleidoscopio. La struttura, presentata al Festival Vivid Sydney 2015, è stata costruita utilizzando oltre 320 forme di origami realizzate con pannelli di alluminio tenuti insieme da cerniere che li rendono mobili.

© Destination New South Wales

Paradossalmente, forse, è stato inizialmente proprio l’elemento della cerniera a essere, per l’artista, quello portante. Il lavoro di Shirane origina da un primo esperimento, premiato nel 2014 alla Biennale di Kobe, in Giappone, e vincitore del CS Design Award: si tratta dell’installazione Garden, realizzata all’interno di un container con l’intento di essere la prima struttura architettonica completamente “incernierata”, leggera e mobile.

Garden by Masakazu Shirane

Sia Garden sia Light Origami funzionano in modo simile al tradizionale caleidoscopio: l’interazione dello spettatore con la struttura genera la creazione di forme sempre nuove. L’artista ha voluto esplorare come una nuova visione della realtà possa plasmare le percezioni e le emozioni degli spettatori che compartecipano alla creazione delle forme colorate a misura d’uomo: ogni loro movimento è riflettuto dai pannelli, i colori degli abiti che indossano vengono incorporati nei disegni che si formano e si dissolvono, le prospettive cambiano di continuo.

© Seto Moto

Sempre sul tema del caleidoscopio e, casualmente, anche dell’utilizzo dei container come contenitori-coprotagonisti di un’installazione, senza lasciare troppo spazio all’immaginazione ecco Kaleidoscope, delle artiste australiane Stephanie Shehata ed Erin Slaviero.

Questa installazione, anch’essa presentata al Festival australiano, è basata sul concetto di specchio infinito: due specchi posti uno di fronte all’altro, parallelamente, che si palleggiano l’immagine riflessa fino all’infinito – almeno idealmente.

La prima esperienza di uno specchio infinito può essere abbastanza intensa da lasciare un segno; personalmente, ricordo con grande chiarezza (diversamente dal solito!) quando mi sono trovata a giocherellare per la prima volta con il mobile del bagno della casa di mia nonna e ho scoperto all’improvviso che, con una certa angolazione dello sportello, il mio volto veniva ripetuto a perdita d’occhio sempre uguale a se stesso… Parenti prossimi del caleidoscopio, gli specchi infiniti possono però generare emozioni intense anche in età adulta, come dimostrano i lavori della pluripremiata artista ultraottantenne Yayoi Kusama.

I Who Have Arrived in Heaven - Courtesy David Zwirner and Yayoi Kusama Studio Inc. Photo: Will Ragozzino

Le sue infinity rooms sono galassie in continua espansione e danno letteralmente le vertigini, ma ancora più sconvolgente è la sua storia personale: nata in una famiglia giapponese tradizionale, sua madre la costringeva a seguire il padre quando costui andava a incontrare le sue amanti, e a riferirle un resoconto dettagliato. Fin da piccola, stranamente, fu perseguitata da allucinazioni e ossessioni di vario tipo e, dopo un lungo soggiorno americano in cui riuscì a trovare la propria strada come artista, negli anni ’70 tornò a Tokyo, in una struttura psichiatrica, dove da allora risiede e continua a realizzare opere indimenticabili.

Infinity Mirrored Room - Courtesy Rebecca Dale Photography