Brevissima storia della matita

Potrebbe essere un indovinello: qual è il parente povero del diamante? Bene, questa volta niente suspence: si tratta di quella forma di carbonio quasi puro che oggi conosciamo con il nome di grafite e che trova il suo impiego più ampio in un oggetto di cui nemmeno nel XXI secolo siamo riusciti a fare a meno – la matita.

grafiteLa grafite fu scoperta in Europa, e più precisamente in Baviera, sul finire del quindicesimo secolo, anche se era già stata utilizzata dagli Aztechi molti secoli prima. Si pensava inizialmente che si trattasse di un tipo di piombo o di una lega di piombo e molibdeno, tanto da venire inizialmente battezzata “molibdæna”, “piombaggine” o “piombo nero”. In lingua inglese, si usava il termine “plumbago”, che ha portato al sostantivo plumber, l’idraulico che ripara i tubi dell’acqua un tempo costruiti in piombo.

[Da traduttrice, non potevo resistere alla tentazione di fare un po’ di ricerca etimologica su un termine – plumber – che mi aveva sempre lasciata un po’ perplessa…]

Il termine grafite entrò nell’uso soltanto alla fine del diciottesimo secolo, mutato dal tedesco Graphit che deriva, a sua volta, dal verbo greco grafèin, scrivere, dal momento che (come scrive l’Enciclopedia Treccani) “strofinata su carta, vi lascia traccia di colore grigiastro”.

Come racconta John Barrow nello splendido 100 cose essenziali che non sapevate di non sapere:

I primi depositi di grafite naturale furono scoperti in Inghilterra nel Cumberland nel 1564 e generarono nell’aria un fiorire di fabbrichette e mercato nero in tutta l’area del Lake District. […] La prima fabbrica vera e propria aprì i battenti nel 1832 e la Cumberland Pencil Company ha non da molto festeggiato il suo 175° compleanno. Oggi quelle miniere sono da tempo chiuse e la grafite utilizzata nelle nostre matite proviene principalmente dallo Sri Lanka.

La matita moderna fu inventata nel 1795 da Nicholas-Jacques Conté, scienziato dell’esercito di Napoleone, per supplire a una carenza di grafite pura durante le varie guerre. La tecnica utilizzata da Conté richiedeva di far scaldare una miscela di acqua, argilla e grafite per poi “avvolgerla” con un supporto di legno; la forma del supporto, già allora, poteva essere rotonda, poligonale o quadrata.

L’innovatività del processo di Conté sta nel fatto che, in questo modo, le proporzioni della miscela determinano la durezza della mina, che prima di allora era in sostanza lasciata al caso. Tipicamente oggi esistono in commercio mine con 20 gradi di durezza, dalla più morbida (9B) alla più dura (9H), passando per l’intermedia (HB) – come chiunque abbia dovuto lottare con le macchie lasciate dalle mani sudate durante le ore di educazione tecnica alle scuole medie ricorda con una certa apprensione.

matita

La grafite è utilizzata anche commercialmente come lubrificante; una sua applicazione tipica consiste nel polverizzarla e soffiarne un po’ nella serratura della portiera di un’auto per farla funzionare meglio quando fa particolarmente freddo. Questa caratteristica deriva dal fatto che i sei atomi di carbonio che costituiscono la grafite, disposti a forma di anello, possono scivolare con facilità sugli anelli adiacenti, rendendo la grafite uno dei materiali più morbidi di cui possiamo disporre. La grafite, pertanto, non si differenza dal suo parente ricco soltanto per una questione di soldi, ma soprattutto per la consistenza: non dimentichiamo che il diamante è uno dei materiali più duri al mondo.

Sempre grazie a Barrow, possiamo rispondere a un quesito che sicuramente ha attanagliato molti fra noi (soprattutto fra quelli che, all’educazione tecnica, preferivano la matematica come la sottoscritta!): tracciando una linea continua con una tipica matita HB, quanto potremmo andare avanti prima che la mina si consumi del tutto?

Una matita morbida lascia sulla carta una linea di grafite spessa circa 20 nanometri; dal momento che un atomo di carbonio ha un diametro di circa 0,14 nanometri, la linea è spessa all’incirca 143 atomi. La mina ha un raggio tipico di 1 mm e, di conseguenza, un’area di 3,14 mm quadrati. Se la matita è lunga 15 centimetri, il volume della grafite a disposizione per scrivere è pari a 3,14×150 mm cubici. Se la linea è larga 2 mm e spessa 20 nanometri, la mina è sufficiente per continuare a scrivere per 3,14×150 / 2x2x0,0000001 mm = 1178 chilometri.

Il che significa che, con una normalissima matita, potremmo coprire all’incirca la distanza che separa Torino da Stoccolma!

lunghezza traccia mina matita

E cosa succederebbe se suddetta matita, anziché come mezzo per scrivere, venisse interpretata come materiale per costruire oggetti, come sembrerebbe dall’immagine che presenta questo articolo? Ne parlo qui, raccontando come sia possibile fare arte con le matite in un modo molto, molto particolare.

2 Commenti

Bel ragionamento oggi ,perchè se lo avessimo fatto molto tempo fa avremmo scoperto prima dei premi Nobel Andrej Geim e Konstantin Novoselov ,” IL GRAFENE” . Loro hanno applicato la tecnica dello strappo multiplo con lo scotch su un pezzo di minerale Grafite fino a giungere a livello di strato monoatomico. Gli scienziati fino ad allora avevano la percezione errata che tale modalità non potesse essere attuata. In certi casa basta un po di scotch per diventare Nobel.

Nicola, grazie per il tuo commento! Soprattutto, spero di avere al più presto l’occasione per citare la tua frase “basta un po’ di scotch per diventare Nobel” 🙂

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