Non credo di essere particolarmente competitiva: sicuramente non nello sport, forse un po’ più in campo lavorativo. Ma sicuramente il mio “livello di competitività” impallidisce al confronto con quello degli organismi forse più competitivi del nostro pianeta – le piante.
Ebbene sì: nonostante il loro aspetto mansueto, come ho raccontato qualche tempo fa in questo articolo le piante sono feroci lottatrici per la sopravvivenza, che competono per risorse come l’acqua, i minerali, le sostanze nutritive e una volta che, crescendo sempre più vicine, cominciano a farsi ombra l’una con l’altra, la luce del sole.
D’altronde è grazie a quella che si fabbricano il cibo, quindi la cosa non dovrebbe stupirci più di tanto. Quello che almeno a me un po’ ha colpito, tuttavia, è stato scoprire che, quando inizia questa competizione per la luce, le piante entrano in un vero e proprio stato di stress.
Per adattarsi, mettono in atto una strategia di evitamento dell’ombra: quando un crittocromo (fotorecettore responsabile della percezione della luce blu e rossa e coinvolto, anche negli animali, nella regolazione dei ritmi circadiani) “capisce” che la luce solare è diminuita, stimola infatti l’attivazione di geni che, tra le altre risposte, promuovono la crescita delle radici a discapito della produzione di fiori o frutti.
Come potete immaginare, questa cosa diventa un problema quando le piante in questione sono destinate alla produzione alimentare: anche coltivazioni non esattamente intensive come i pomodori dell’orto di mia suocera mostrano a un occhio attento (il suo) che è necessario lasciare molto spazio tra un seme e l’altro così che, durante la crescita, le piante non si trovino a dover attuare questa strategia di evitamento dell’ombra, lasciandoci a bocca asciutta.
Come racconta questo articolo di Sara Goudarzi comparso qualche giorno fa su Nautilus, la soluzione al problema potrebbe essere vicina: nell’impossibilità di mandare le piante in psicoterapia per cercare di attenuarne lo stress, alcuni ricercatori stanno usando tecniche di editing come CRISPR per intervenire in modo estremamente puntuale e preciso sui genomi. Se non sapete esattamente di che cosa sto parlando, vi consiglio di andare a leggere la definizione che ne dà la bravissima Anna Meldolesi sul suo blog dedicato a quella che definisce “la frontiera dell’editing genomico”.
Tornando ai ricercatori, queste tecniche potrebbero aiutarli a influenzare l’evoluzione e aiutare le piante a convivere più pacificamente con le loro vicine, smettendo di crescere come pazze per conquistarsi “un posto al sole” e concentrandosi di più sulla produzione.
E se la cosa vi fa correre un piccolo brivido lungo la schiena, perché avete letto o guardato un bel po’ di fantascienza e già pensate al passaggio piante-animali-esseri umani… be’, vi posso assicurare che non siete i soli!
Immagine di Nik Shuliahin via Unsplash