La sveglia suona sempre due volte

Ormai lo sanno anche i muri: trascorriamo all’incirca un terzo della nostra vita dormendo. Giornate di 24 ore, una media di 8 ore per notte… I conti sono facili da fare. E immagino che nessuno si stupirà di leggere che la scienza ha dimostrato come un risveglio forzato (il famigerato driiiiiin della sveglia) possa essere più o meno traumatico a seconda del momento in cui avviene.

Le ore dedicate al riposo non sono un flusso continuo, ma constano di un’alternanza pressoché inarrestabile di diverse fasi del sonno in cui, di volta in volta, siamo apparentemente sul punto di risvegliarci oppure sprofondiamo in uno stato di completa paralisi muscolare. Questi diversi stadi, che tutti noi – oltre a viverli – abbiamo avuto modo di osservare trovandoci accanto a qualcuno che stava dormendo (magari con nostra grande invidia, com’è stato il mio caso per molti anni), sono stati oggetto di ricerche scientifiche approfondite, rese possibile dal fatto che essi sono associati a cambiamenti nell’attività elettrica cerebrale facilmente riscontrabili con la tecnica dell’elettroencefalogramma.

L’attività di osservazione delle fasi del sonno prende il nome di polisonnografia e richiede ai soggetti interessati di dormire con una serie di elettrodi montati sullo scalpo.

polisonnografia - fasi del sonno
Gli elettrodi identificano gli sbalzi di tensione nel flusso di corrente ionica in alcune aree strategiche della corteccia cerebrale; le fluttuazioni della corrente vengono poi interpretate e tradotte su uno schermo come onde di frequenza e ampiezza diverse.

A questi dati sono associati quelli sulle variazioni nel tono muscolare del soggetto (raccolti contestualmente); durante il sonno, infatti, la nostra attività muscolare è pari a zero, con l’eccezione – come vedremo – di possibili movimenti della zona oculare.

fasi del sonno grafico

In concomitanza con lo stato di veglia, la corteccia emette tante piccole onde ad alta frequenza, e l’attività muscolare è variabile. Quando un soggetto si addormenta, l’attività muscolare diminuisce fino ad annullarsi. I ricercatori hanno identificato quattro distinte fasi del sonno (un tempo erano cinque), che si suddividono a loro volta in due gruppi.

Vi è il sonno ortodosso, o sincronizzato: onde ampie, a bassa frequenza, caratteristiche di un’attività cerebrale sincronizzata – in altri termini, tutta la corteccia fa la stessa cosa. E’ la fase di sonno profondo (a sua volta suddivisa in tre fasi leggermente diverse una dall’altra a seconda del tipo di onde emesse), quella dalla quale non vorremmo mai essere svegliati bruscamente – nonostante alcune ricerche abbiano mostrato come le nostre capacità cognitive non siano influenzate dalla fase del sonno in cui avviene il risveglio, per quanto scioccante questo possa essere. [La frase precedente è volutamente ambigua: questo è riferito al risveglio, ma anche al risultato delle ricerche, perché io invece avrei giurato che le mie capacità cognitive fossero influenzate eccome dalla fatica che ho fatto la mattina a rotolare giù dal letto…]

fasi del sonno - ©David Mao
Al sonno ortodosso si alternano all’incirca ogni 90 minuti le fasi di sonno paradosso o paradossale (o, ancora, desincronizzato). In questi intervalli di tempo, l’attività cerebrale presenta una somiglianza sbalorditiva con lo stato di veglia: la corteccia fa tante cose diverse contemporaneamente, proprio come quando siamo svegli e stiamo continuamente elaborando tutti i molteplici aspetti della nostra esperienza del mondo.

Durante le fasi di sonno paradossale, in cui l’attività cerebrale è così intensa, dal punto di vista del tono muscolare siamo invece completamente paralizzati, con un’eccezione. Si tratta infatti della famosa fase di sonno Rem, caratterizzata dai movimenti rapidi degli occhi in diverse direzioni – e da un nome che a chi come me è stato adolescente attorno agli anni ’90 evoca innumerevoli ricordi legati a stati più o meno coscienti.

Le fasi del sonno Rem durano alcuni minuti e tendono a essere sempre più frequenti e più lunghe nel corso della notte (l’ultima può durare anche un’ora!). Comunemente si tende ad associare la fase Rem al momento in cui si sogna. Tutto risale a quando, nel 1961, il neurobiologo lionese Michel Jouvet condusse una serie di esperimenti in cui soggetti addormentati venivano svegliati proprio durante il picco dei movimenti oculari: i soggetti, invariabilmente, raccontavano un sogno che stavano facendo immediatamente prima del risveglio – cosa che invece non succedeva se il risveglio avveniva durante una fase di sonno non Rem. Questo portò l’onirologo Jouvet a introdurre il concetto di sonno paradossale e ad associarlo al momento in cui hanno luogo i sogni.

murale - fasi del sonno

Ma c’è un problema: altri esperimenti hanno evidenziato che anche soggetti svegliati in una delle fasi del sonno ortodosso (non Rem) asseriscono talvolta di essere stati interrotti nel bel mezzo di un sogno.

E’ quindi progressivamente emersa l’idea che il sogno non sia caratteristico di una certa fase del sonno, anche se resta pur sempre vero che, a seconda delle fasi del sonno, i sogni possono essere più o meno “razionali”: un sogno in cui conduciamo un auto per andare al lavoro – e non succede assolutamente nient’altro – è caratteristico della fase ortodossa, mentre un sogno in cui voliamo sopra una città, come nell’omonimo quadro di Marc Chagall, è più tipico del sonno paradossale.

Marc Chagall Sopra la citta

Nella fase Rem, tuttavia, avviene qualcosa di apparentemente inspiegabile: l’attività dei sistemi noradrenergico e serotoninergico, che decresce durante le fasi non Rem, si arresta completamente durante il sonno paradossale. Questi due sistemi, però, sono entrambi responsabili del pensiero cosciente, e il sogno è un pensiero cosciente. O forse no?

Come vedremo in un prossimo articolo, secondo un altro neurofisiologo francese, Jean-Pol Tassin, la sostanza di cui sono fatti i sogni potrebbe essere qualcosa di molto, molto diverso da quello che abbiamo sempre immaginato.