La teoria del caos secondo Frank Stella

Il percorso che ha portato Frank Stella a esplorare la teoria del caos con mezzi e metodi – ovviamente – ben diversi dalla matematica, inizia nell’inverno del 1983 mentre l’artista, la sera prima di tenere una lezione all’università di Harvard sul tema dello spazio nell’arte, si stava rilassando fumando un sigaro (cubano). Gli anelli di fumo, prodotti quasi distrattamente nell’aria immobile della stanza, lo fecero riflettere sul fatto che si trattava di:

un modo di produrre immagini e creare forme che non avevo mai visto prima: una sorta di fantasticheria faustiana.

E istantaneamente si chiese come avrebbe potuto riprodurre quelle volatili architetture in una – statica – opera d’arte.

Stella aveva iniziato a interessarsi del rapporto fra ordine e disordine – che gli anelli di fumo così bene mettevano in evidenza – già da parecchi anni, con i piani intersecantisi della serie Polish Village negli anni Settanta e ancor più, nella decade successiva, con i suoi Circuiti.

Frank Stella | Talladega, 1980-81, Courtesy of Leslie Feely Gallery
Frank Stella | Talladega, 1980-81, Courtesy of Leslie Feely Gallery

I circùiti che danno il nome alla serie di opere non hanno nulla di elettronico, ma si riferiscono ai luoghi deputati alle corse delle auto (in particolare, alla Formula Uno); ciò nonostante, è impossibile non ritrovare, nelle forme sinuose che si sovrappongono uscendo con prorompenza dal piano della tela, rimandi alle volute di fumo, ai vari intrecci di molte strutture naturali, o addirittura ai “circuiti” così importanti e altrettanto misteriosi che animano il nostro cervello.

In una delle serie successive – Moby Dick,  che risale ai primi anni Novanta e consta di oltre 250 opere – l’indagine tridimensionale si fa ancora più esplicita grazie al motivo dell’onda.

Cetology | Frank Stella
Cetology, 1990

L’artista iniziò a lavorare a questa serie mentre stava leggendo il libro di James Gleick Caos, la nascita di una nuova scienza. Scritto nel 1987, si tratta di un (a mio parere) avvincente racconto dell’avventura scientifica che ha portato alla nascita di una teoria in grado di “valicare le linee di demarcazione fra le varie discipline scientifiche”, la quale, a differenza delle altre due grandi teorie rivoluzionarie del XX secolo, relatività e meccanica quantistica, “si applica all’universo quale lo vediamo e lo tocchiamo, a oggetti della scala umana”.

Dove comincia il caos si arresta la scienza classica […] L’aspetto irregolare della natura, il suo lato discontinuo e incostante, per la scienza sono stati dei veri rompicapo o peggio mostruosità. Ma negli anni Settanta alcuni scienziati, negli Stati Uniti e in Europa, cominciarono a trovare una via per orientarsi nel disordine […] Le nozioni che ne emersero condussero direttamente nel mondo naturale: la forma delle nubi, la traiettoria del fulmine, l’intreccio microscopico di vasi sanguigni, gli ammassi galattici di stelle.

Evidentemente, anche a Stella il libro di Gleick piacque molto, e ancor più gli piacque la teoria del caos, tanto che per qualche tempo l’artista meditò di cambiare nome alla serie su cui stava lavorando e, anziché al melvilliano cetaceo, dedicarla ai frattali, ormai diventati di moda (e destinati a restarci).

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Ma anche se alla fine Moby Dick ebbe la meglio, la passione dell’artista per i fenomeni caotici procedette di pari passo con quella per i sigari cubani e le loro volatili conseguenze. All’inizio degli anni Novanta, Stella fece costruire ai propri collaboratori un apparecchio in grado di fotografare le volute di fumo: una scatola di ottanta centimetri di lato ricoperta di teli neri e illuminata da quattro lampadine, con una macchina fotografica su ciascun lato. Lungo due spigoli, dei fori consentivano all’artista di soffiare all’interno il fumo e di immortalarne le imprese in sei istantanee fotografiche. Delle migliaia di fotografie scattate, Stella ne scelse una dozzina, tutte accomunate dal fatto di mostrare allo stesso tempo la forma dell’anello di fumo e il punto in cui inizia la turbolenza: il pennacchio sale verso l’alto in modo uniforme, accelerando fino a raggiungere una velocità critica che determina il passaggio dall’ordine al disordine.

Le fonti sono discordi riguardo i metodi utilizzati dall’artista per “modellizzare” le fotografie e renderle tridimensionali e, di conseguenza, punti di partenza per altrettante sculture. Secondo questo bell’articolo di Wired, il lavoro fu svolto senza troppe difficoltà dai suoi assistenti; altri, invece, appoggiano la tesi dell’artista Michael O’Rourke, il quale sostiene di aver utilizzato un antenato della stampa 3D oggi tanto à la page (la stereolitografia) per costruire modellini tridimensionali poi utilizzati dall’entourage di Stella per realizzare gli stampi veri e propri.

Sia chiaro: le opere di Stella non analizzano i moti turbolenti, se non altro non più di quanto il cubismo non cercasse di analizzare la teoria della relatività speciale di Einstein. E’ curioso, tuttavia, come a partire da un certo momento i dipinti e le sculture dell’artista americano, a un’ispezione ravvicinata, svelino schemi niente affatto ripetitivi; un tempo, probabilmente, tali schemi sarebbero stati considerati del tutto accidentali, mentre oggi siamo in grado di ascriverli al rango dei sistemi complessi oggetto di indagine, manco a farlo apposta, proprio della teoria del caos.

Foto di copertina: particolare di At Saint Luce, © 2015 Frank Stella/Artists Rights Society (ARS), New York; Hiroko Masuike/The New York Times