L’illustrazione scientifica, dal Settecento alle prime radiografie

Come abbiamo visto nella prima parte di questo articolo, la storia dell’illustrazione scientifica (botanica, in particolare), è vecchia quanto le scienze naturali. Nel diciottesimo secolo, grazie ai risultati ottenuti dal naturalista svedese Carlo Linneo, si instaurò in botanica uno stile inaugurato dall’artista Georg Dionysus Ehret; esso era caratterizzato dall’accurata rappresentazione degli organi sessuali delle piante, fondamentali per l’identificazione delle varie specie (così come Linneo aveva dimostrato). Lo stile introdotto da Ehret divenne dominante, ma a esso si affiancò una seconda tendenza, che potremmo definire più “olistica”, caratterizzata da disegni in cui piante e animali sono sempre inseriti nel loro habitat naturale anziché essere rappresentati, come nel caso dello stile linneano, su uno sfondo neutro e del tutto avulsi dal contesto.

Questa tendenza emerge chiaramente nelle tavole dello scrittore e naturalista William Bartram, dove la natura è riprodotta così come lui stesso ne aveva esperienza durante le osservazioni in loco. Nella seconda metà del Settecento, Bartram trascorse infatti oltre quattro anni viaggiando nel Sudest degli Stati Uniti, dal Sud Carolina alla Florida; nel corso delle sue peregrinazioni, produsse continuamente disegni di ciò che osservava e scrisse quello che molti critici oggi considerano uno dei primi grandi esempi della letteratura americana: i Travels (I viaggi). Pubblicato nel 1791, il libro ebbe fin da subito un successo incredibile negli Stati Uniti e soprattutto in Europa, dove influenzò il pensiero e l’immaginario di scrittori come Samuel Coleridge e William Wordsworth; da allora, non è mai uscito di produzione e continua a essere periodicamente ristampato.


In quegli stessi anni, a qualche migliaia di chilometri di distanza cominciarono, da parte degli europei, le esplorazioni dell’Australia. La spedizione più famosa alla volta della Terra Australis Incognita è probabilmente quella del britannico James Cook. Il capitano Cook, nel 1770, approdò vicino all’odierna Sydney accompagnato da uno dei botanici più famosi della sua epoca, Joseph Banks; costui, in veste di ufficiale scientifico dell’HM Endeavour, insieme dall’allievo di Linneo Daniel Solander si addentrò nell’entroterra australiano nel corso di numerose spedizioni naturalistiche. La squadra di Banks diventò famosa grazie al gran numero di specie vegetali autoctone che furono riportate in patria, suscitando l’ammirazione degli esperti e del pubblico; tali esemplari ancora oggi fanno parte delle collezioni dei Kew Gardens di Londra. Mentre è indubbia l’estrema attenzione con cui è stato riprodotto, nei disegni, ogni dettaglio di queste esotiche piante, gli illustratori che viaggiavano al seguito di Banks non furono altrettanto abili nel ritrarre fedelmente le specie animali, non fosse altro perché questi ultimi, come d’altronde sono soliti fare gli animali, erano costantemente in movimento.

Alcune delle prime illustrazioni dei canguri non sono più realistiche di quelle raffigurate dagli aborigeni australiani nelle rappresentazioni pittoriche del Tempo del Sogno: più che canguri, questi animali sembrano grosse lepri immortalate in una posizione eretta del tutto innaturale, sullo sfondo di paesaggi tipicamente inglesi. Gli artisti, in questo caso, erano sicuramente sotto l’influenza della tradizione pittorica appresa in patria, ma che dire degli scienziati che avrebbero dovuto controllare e, in qualche modo, validare i loro disegni? Il nostro sistema visivo è tale per cui, in assenza di un “dizionario” che ci aiuti a interpretare le immagini che si formano sulla retina, anziché creare nuove “voci” tende ad appoggiarsi su dati preesistenti che siano anche soltanto lontanamente simili. In questo modo, qualcosa di poco familiare (come un canguro) può facilmente diventare un oggetto noto (come una lepre, almeno nel caso di un inglese del diciottesimo secolo). I botanici, ovviamente, non avevano problemi del genere perché, nell’osservare e disegnare le piante, non dovevano confrontarsi con la complicazione aggiunta dal movimento, bensì avevano tutto l’agio di osservare i loro soggetti e di fare sì che le immagini impresse sulla retina divenissero progressivamente sempre più familiari.

Oltre a insegnarci qualcosa di nuovo su come funziona il nostro sistema visivo, l’illustrazione della natura può anche fornire l’occasione per sorridere un po’. L’illustratore Edward Lear, vissuto nel diciannovesimo secolo, prese spunto dal sistema di nomenclatura binomia per creare la cosiddetta Nonsense Botany: una vera e propria “botanica fantastica” costituita di oggetti immaginari dalle forme e dai nomi umoristici. Come anticipato nella prima parte di questo articolo, la nomenclatura binomia fa uso del latino e combina il nome del genere (es. Homo), scritto con l’iniziale maiuscola, con l’epiteto della specie (es. sapiens); quest’ultimo, anch’esso in latino, spesso fa uso di parole che descrivono una caratteristica morfologica dell’esemplare in questione, oppure il nome di una persona a cui si vuole dedicare la scoperta di una nuova specie. Lear, che peraltro era un esperto di illustrazione scientifica particolarmente bravo e raffinato, non seguì pedissequamente queste convenzioni, anche perché diventarono obbligatorie soltanto negli anni ’50 del Novecento; le utilizzò tuttavia per creare, in una sorta di latino maccheronico, esseri astrusi in cui l’elemento vegetale si mescola con gli oggetti di uso quotidiano, animali o personaggi con effetti comici notevoli, come la Crabbia Horrida, la Queeriflora Babyoides o la Armchairia Comfortabilis mostrate in figura.

Tra fine Ottocento e inizio Novecento, come in tutti gli ambiti, anche nel caso dell’illustrazione scientifica al disegno cominciò ad affiancarsi la fotografia. Tra tutti quelli che si interessarono alle piante come soggetti, vale sicuramente la pena di citare un fotografo molto particolare: il radiologo americano Dain L. Tasker, che immortalò decine di fiori su pellicola fotografica sensibile ai raggi X. Come si vede dall’immagine di copertina di questo articolo, grazie all’effetto della radiografia, alla bellezza del semplice bianco e nero si accompagna la scoperta delle forme nascoste dei fiori non più per scopi scientifici, come poteva succedere un tempo quando il fine principale dell’illustrazione scientifica e botanica consisteva nell’aiutare il riconoscimento delle specie, bensì per un intento esclusivamente estetico. D’altronde, perché no, se è vero che, con le parole dello stesso Tasker:

I fiori sono l’espressione della vita amorosa delle piante.