Émilie du Châtelet, traduttrice fuori dal comune

Come ho già avuto modo di scrivere, le lingue della scienza variano con il trascorrere del tempo e, di volta in volta, la diffusione di un risultato scientifico può dipendere fortemente dalla volontà di tradurlo in modo da renderlo comprensibile a un pubblico più ampio di quello degli addetti ai lavori. In molti casi, tuttavia, l’amore per la propria lingua madre può essere tale da rendere necessaria una traduzione per far sì che anche gli stessi scienziati possano prendere coscienza di nuovi possibili modi di vedere il mondo.

I francesi, si sa, sono famosi per prediligere – per l’appunto – il francese, tanto da avere istituito una legge fatta apposta per renderne obbligatorio l’uso in un gran numero di situazioni. Le cose non stavano tanto diversamente tra il Seicento e il Settecento, quando la pubblicazione in latino dei newtoniani Principia Mathematica incise ben poco sulla comunità scientifica francofona, probabilmente tutta presa dalla lettura del cartesiano Discorso sul metodo – scritto e pubblicato, manco a farlo apposta, in lingua francese una trentina d’anni prima dei tre tomi prodotti dal matematico britannico.

La situazione era però destinata a cambiare a causa di una donna.

Émilie le Tonnier de Breteuil, divenuta marchesa di Châtelet in seguito al matrimonio contratto a 19 anni con un uomo di dieci anni più vecchio, nacque nel 1706 in una famiglia aristocratica dell’alta società francese; suo padre, Louis-Nicolas le Tonnelier de Breteuil, barone de Preuilliy, era il responsabile del protocollo presso la corte del Re Sole.

Preoccupato per l’aspetto fisico della figlia – in particolare per le dimensioni smisurate dei piedi e delle mani – e temendo che sarebbe stato difficile trovarle marito, il barone decise di educarla al pari dei figli maschi e, sapendo che in quanto donna un’istruzione superiore formale le era comunque preclusa, la espose fin da bambina all’ambiente della propria casa, frequentata dai più importanti intellettuali francesi ed europei dell’epoca.

emilie du chatelet

Contrariamente ai timori paterni, la bambina dai grossi piedi divenne un’adolescente sempre più bella, che alla propria avvenenza univa la conoscenza delle lingue, della musica, della matematica e della filosofia naturale. Grazie a tutte queste doti, non fu un problema, per Émilie, riuscire a sposare un uomo come il marchese di Châtelet, abbiente militare di carriera che trascorreva gran parte del tempo lontano da Parigi, consentendole così di potersi dedicare a ciò che davvero la appassionava più di ogni altra cosa: lo studio delle scienze, della filosofia e della matematica.

Questa donna bella e colta si circondò dei pensatori più influenti e delle menti più interessanti del diciottesimo secolo; pare che arrivò a travestirsi da uomo per poter entrare nei caffé più alla moda della capitale come Gradot, dove le donne non erano ammesse, pur di prender parte alle riunioni con gli scienziati.

Dopo aver avuto alcuni amanti, tra cui il duca di Richelieu (che notando le sue doti fu uno dei primi a incoraggiarla ad approfondire lo studio della matematica), nella primavera del 1733 conobbe l’uomo che, dopo suo padre, più la aiuterà a prendere coscienza delle proprie doti intellettuali: si trattava di François-Marie Arouet, per gli amici Voltaire.

voltaire

L’incontro fu vissuto da entrambi come il ricongiungimento di due anime gemelle; Émilie si spinse addirittura a scrivere al suo precedente amante, Richelieu, chiedendogli come avesse mai potuto omettere di presentarle l’amico Voltaire, sapendo che sarebbe stato il suo uomo ideale.

Secondo le usanze dell’epoca, non era così strano che una donna nella posizione di Émilie avesse un amante ufficiale (purché fosse uno per volta, a differenza di quanto consentito agli uomini); non sappiamo, tuttavia, quanto usuale fosse l’accordo raggiunto da Voltaire con il marchese di Châtelet, al quale il filosofo prestò una cifra considerevole per il restauro di una residenza di campagna di sua proprietà, lo Chateau de Cirey; una volta terminati i lavori, la marchesa andò così a risiedere nel meraviglioso castello perso nella campagna francese, ma ci andò accompagnata da Voltaire, e non dal legittimo marito.

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La coppia visse qui per alcuni anni, mettendo insieme una biblioteca di dimensioni ragguardevoli (oltre 21.000 volumi) e trascorrendo le giornate lavorando, per poi ritrovarsi la sera insieme ai numerosi ospiti che alloggiavano nel castello. Molti dei manoscritti originali di Voltaire portano a margine note scritte da Émilie, e viceversa; gran parte dei lavori pubblicati dal filosofo durante i quindici anni in cui durò la relazione fu a lei dedicata non soltanto per ragioni sentimentali, ma per l’importanza dell’apporto dato dalla donna alla loro realizzazione.

Nell’introduzione agli Elementi della Filosofia Naturale di Newton, pubblicati nel 1737, Voltaire indicò chiaramente che la marchesa di Châtelet aveva collaborato alla stesura dell’opera. Fu questo risultato, probabilmente, che spinse Émilie du Châtelet a intensificare i propri studi di filosofia naturale, corrispondendo con figure significative come il matematico Johann Bernoulli, insegnante di Eulero, fino a iniziare il vero e proprio lavoro di traduzione dei Principia mathematica nel 1740. L’importanza dell’opera fu tale da farla citare, nell’Encyclopédie di d’Alembert, come l’autore che ha “tentato di rendere la filosofia newtoniana più comprensibile”.

emilie du chatelet principia

Il compito che la marchesa si era prefissa richiedeva conoscenze matematiche particolarmente approfondite; l’obiettivo consisteva in una traduzione che andasse al di là della resa in francese di quanto era stato scritto nel latino – piuttosto involuto – di Newton e tenesse anche conto del fatto che, nell’arco di poco più di cinquant’anni, la matematica era stata profondamente influenzata dai lavori di Leibniz. Alle figure geometriche euclidee della versione originale, in molti casi Émilie sostituì formule analitiche che contribuiscono non poco a una migliore comprensione delle idee newtoniane, per esempio utilizzando il segno integrale ∫ e la notazione differenziale d/dx – invenzioni di Leibniz che ancora oggi affollano lavagne e quaderni.

La marchesa di Châtelet, eppure, non soltanto non si lasciò scoraggiare dalla difficoltà di una tale impresa, ma trovò anche il tempo, nel 1748, di lasciare Voltaire (con cui rimase in ottimi rapporti) per un nuovo amore, il marchese di Saint-Lambert, di dieci anni più giovane.

Purtroppo, questa scelta si rivelò fatale: Émilie, ormai ultraquarantenne, rimase incinta del giovane marchese e, in accordo con le proprie più fosche previsioni, non sopravvisse al parto. La sua traduzione dei Principia comparve postuma nel 1756 grazie all’intervento di Voltaire, segnando indelebilmente la storia della scienza francese e mondiale.

E fu così che Émilie du Châtelet, scienziata che compiva appassionati esperimenti con il fuoco senza tuttavia dimenticarsi di proteggere i mobili e che era capace di perdere altrettante ore discutendo con la sarta per decidere le modifiche di un abito quante ne impiegava discettando di filosofia con l’amato Voltaire, fu da lui definita alla sua morte:

un grand’uomo che non aveva che un difetto: quello di essere una donna.